Rodolfo Lollini, atleta del G.S. Montestella e giornalista-scrittore.
Un personaggio importante per il Circuito del Miglio per il quale, in questa edizione, oltre a partecipare alle gare ed essere possessore del passaporto n.6, ha tenuto la rubrica Miglio… riamo.
Attualmente fermo per un intervento chirurgico, sta già progettando nuove esperienze sportive, la marcia potrebbe essere il suo prossimo obiettivo se gli sarà vietato di correre.
Non si può mai fermare un atleta e Rodolfo è inarrestabile nelle sue imprese ed iniziative.
1. La tua vita sportiva è iniziata con la pallacanestro, poi la corsa. Tra i due sport hai una preferenza e qual è stato il motivo che ti ha portato a essere un podista?
Ho iniziato tardi a giocare a pallacanestro. I grandi giocatori di basket affermano che finiranno la loro carriera quando inizieranno a far ridere sul campo. Io facevo ridere fin dall’inizio, quindi non mi sono mai preoccupato di quando smettere (Ride, N.d.A.).
Sono diventato arbitro, allenatore e dirigente. Ho avuto la soddisfazione di allenare Flavio Tranquillo, ora giornalista e telecronista Sky. Sono uno dei dirigenti della Virtus Cornaredo Basket, dove svolgo anche il ruolo di allenatore e istruttore. E’ la squadra dove gioca mio figlio.
La pallacanestro è uno sport di squadra, dove ci sono dinamiche più complesse nei rapporti con compagni, avversari ed allenatore rispetto all’atletica leggera. L’atletica ha il vantaggio che gli allenamenti possono essere gestiti individualmente in base alle possibilità lavorative e famigliari di ogni atleta. Questa facilità nella gestione degli allenamenti e il mio sogno di concludere una maratona, distanza che ho sempre reputato epica, mi ha condotto a entrare nel mondo della corsa.
Entrambi gli sport li seguo con la medesima passione, perché ritengo giusto impegnarmi al massimo in tutto ciò che faccio.
2. Hai corso dalla staffetta 4x400m alla 100km. Su quale distanza ti trovi più a tuo agio?
Ho iniziato dalla corsa su strada, ma è sulla pista che respiro l’atmosfera dell’atletica leggera. La corsa, negli ultimi anni, è diventata un fenomeno di massa. Questo è sicuramente un aspetto positivo, ma in pista trovi gli atleti che si allenano per dare il massimo in base alla loro età. Essere in una call room in un campionato europeo master, è un’emozione che lascia i brividi sulla pelle.
Nella mia esperienza podistica ho voluto sperimentare un po’ tutto, anche i 2000m siepi.
La distanza del miglio mi piace molto.
3. Quali sono state le tue soddisfazioni più belle, finora, nell’atletica leggera?
La partecipazione ai campionati mondiali ed europei master, i titoli ed i piazzamenti ai regionali nei 2000m siepi, nei 10000m e nella staffetta 4x400m. Un’inaspettata vittoria nella categoria MM50 al Vertical Sprint del grattacielo Pirelli con l’allora attuale record della manifestazione per la mia categoria. Ricordo ancora la sensazione delle mie gambe dopo 710 scalini saliti a due per volta: pensavo di essere un uomo sulla luna! Formigoni mi ha consegnato personalmente la coppa della mia vittoria.
Mi resta il rammarico della mezza maratona del campionato europeo master a Clermont Ferrand. Facevo parte della squadra italiana che è arrivata quarta. Medaglia di legno dal gusto amaro.
4. Scrivere di corsa. Fai parte della redazione di Podisti.Net e hai scritto un libro, Gran Criterium Internazionale, una novella con personaggi inventati e ispirati al mondo podistico. Da dove è nata l’esigenza di raccontare la corsa nei suoi vari aspetti?
L’ambiente podistico è molto bello. Arrivare ultimi non costituisce un insuccesso, ma un raggiungimento di un obiettivo dando il massimo delle proprie possibilità. L’ultimo non viene deriso, ma spesso riceve tanti applausi quanto il primo. Su Podisti.Net ho iniziato a commentare le manifestazioni a cui prendevo parte presentando il punto di vista del “consumatore”, evidenziando pregi e difetti in un’osservazione costruttiva, utile anche all’organizzatore per proporre un prodotto sempre migliore e rientrante nelle esigenze dei partecipanti. Mi piacerebbe che il podista non si fossilizzasse solo su alcune distanze, ma provasse diverse esperienze, arricchendosi e trovando nuovi stimoli.
Il mio libro, invece, può avere due livelli di lettura: il primo come racconto per chi non appartiene a questo mondo, il secondo rivolto a chi ne fa parte e può divertirsi trovando i personaggi tipici che si incontrano in ogni manifestazione. Lo scopo più importante del mio libro è raccogliere 10000€ da donare in beneficenza al progetto: Health Center for Abobo Etiopia. Al momento siamo già oltre la quota di 6000€. Ho scelto questa destinazione per i ricavati della mia opera perché è un progetto portato avanti dalla Fondazione Opera Don Bosco, di cui conosco parte dei responsabili e sono a conoscenza delle loro basse spese amministrative. Questo assicura che la quasi totalità della donazione sarà utile al progetto.
L’Abobo Health Center – Catholic Church Project conta oggi più di 50 membri di personale sanitario, offrendo un servizio a oltre 22000 persone della zona come beneficiari diretti e oltre 200000 persone come beneficiari indiretti. I servizi offerti da questa struttura sono da quindici anni di fondamentale importanza per gli abitanti di questo villaggio situato nell’estremo ovest dell’Etiopia.
L’Etiopia, per me, è una nazione da cui provengono corridori eccezionali.
5. Don Bosco affermava che il cortile e il gioco sono una dimensione fondamentale del sistema educativo. Trasportando l’analogia con l’atletica leggera, la pista diventa un luogo privilegiato per la formazione. Quali sono le tue riflessioni sul ruolo dell’allenatore come educatore?
La mia esperienza diretta è come allenatore di pallacanestro, dove le dinamiche di gioco e scontro con i compagni e gli avversari sono più intense rispetto all’atletica leggera. Ritengo che l’allenatore sia un insegnante di vita. Il modo di approcciarsi ai giovani è diverso rispetto ad anni fa, perché loro sono inseriti in un tessuto sociale caratterizzato da molti più stimoli. Risulta, a volte, più difficile catturare la loro attenzione e bisogna trovare la giusta modalità. I giovani restano comunque un potenziale ricco e pieno di valori da stimolare e far crescere. Non sono più carenti rispetto ai giovani di decenni fa, sono solo diversi perché differente è la società in cui vivono.
6. Quali attenzioni deve avere, secondo te, un organizzatore di gare giovanili per non ridurre il suo evento a un mero incontro agonistico?
L’importante è coinvolgere i giovani partecipanti non solo nel momento della gara, ma anche nelle fasi precedenti e quelle successive, creando un ambiente piacevole e sereno.
7. I recenti risultati della squadra italiana ai Mondiali di Atletica. Secondo te, le altre nazioni sono veramente imbattibili rispetto alla nostra? Cosa manca nella preparazione dei nostri atleti?
L’Italia paga sicuramente una cultura sportiva non sviluppata come all’estero. L’educazione fisica nelle scuole italiane non riveste un ruolo paritario alle altre discipline insegnate. A volte i programmi restano cartacei, ma non vengono svolti per vari motivi.
I giovani oggi soffrono sempre più spesso di un analfabetismo motorio a causa della mancanza o della poca sicurezza degli spazi all’aria aperta in cui possono giocare. Questo non aiuta lo sviluppo dello sport in età giovanile comportando sempre più insuccessi sportivi in età adulta.
8. Quale sogno sportivo vorresti ancora realizzare?
Entrare in una finale di un campionato Master Europeo.
Venezia 2019, un sogno per molti.